(F.B.) Gli affitti brevi continuano a dividere l’opinione pubblica presentandosi come grande opportunità da una parte e fenomeno dannoso dall’altra. Immettere sul mercato turistico immobili, spesso in disuso, funziona e porta entrate economiche ma studenti e lavoratori alla ricerca di un affitto tradizionale ne pagano le spese.

Finito il periodo delle ferie si passa a quello dello studio e del lavoro, durante il quale si apre la sfida a trovare un tetto sotto il quale dormire senza finire in bancarotta. A confermarlo è Open che in un recente articolo ha reso noto come un posto letto a Milano in zona universitaria costi in media 637 euro, a Bologna 506, a Roma 503.

 

I primi segnali di malcontento risalgono già all’inizio dell’estate, quando il fenomeno affitti brevi ha iniziato a uscire dai confini determinati e a mostrare l’altro lato della medaglia, quello che fa entrare soldi nel portafogli e uscire gente per strada. Storie di ricerche impossibili, sfratti motivati dal maggior profitto promesso dagli affitti brevi e famiglie costrette a vivere in hotel per tenere insieme vita personale, lavoro e conti a fine mese si sono alternate nei quotidiani italiani che si sono prestati a mezzo di denuncia per la situazione in atto.

Se non si è disposti a credere ai diversi vissuti, sono i numeri a parlare chiaro e a mettere di fronte all’evidenza. Un recente articolo su repubblica.it riporta i numeri rilevati da una ricerca di Cgil, Sunia e Udu secondo cui il 62% dei fuorisede ha difficoltà a trovare casa. Stando alle informazioni presentate, per gli analisti la colpa è di una domanda fuori controllo — +27% — dei ragazzi (e di qualche lavoratore) alle porte del nuovo anno accademico. Universitari e ricercatori non la pensano però così, aggiungendo tra le cause la mancanza di politiche abitative pubbliche tese a regolare il dilagare di Airbnb.

Chiaro è che il turismo regolamentato ed esercitato seriamente non può essere considerato responsabile dello scontento generale. Semmai è la fetta di mercato che si muove in sordina, senza rispettare obblighi e vincoli di carattere etico o lavorativo, a dover essere segnata a dito. Un modo di fare turismo “alla buona” che indigna tanto gli studenti e i lavoratori quanto gli operatori regolari e coscienziosi che vengono erroneamente inclusi nell’insieme.

 

Decine i racconti di chi quindi vive gli affitti brevi dal lato sbagliato. Si parte dai lavoratori precari messi alla porta e costretti a un’odissea di mesi per trovare un appartamento in affitto per arrivare agli studenti a cui vengono rifilati sgabuzzini e garage per di fare cassa. L’episodio più significativo dell’estate che ha innescato una reazione a catena in molte località prese d’assalto dal turismo è accaduto sabato 6 luglio a Barcellona. Nel primo fine settimana del mese scorso, quasi tremila persone sono scese in piazza per protestare contro il sovraffollamento turistico.

Da lì in poi, lo slogan “Tourists go home” si è fatto portavoce dei fastidi provocati, tra le altre cause, anche dalla diffusione non controllata degli affitti brevi. Così chiaro e così forte da comparire il 17 agosto anche a Firenze, scritte sui muri del centro della città, proprio nei giorni  in cui nel fiorentino tornava in auge il vincolo per mettere in affitto breve le abitazioni del centro storico.

 

Alla base dello sdegno non c’è sicuramente voglia di protesta o di sommossa, momenti verso il quale si arriva però inevitabilmente. Per molti, per tutti forse, c’è solamente il desiderio di vivere, lavorare e studiare nella stessa città senza ritrovarsi invischiati nella gigantesca quanto spietata corsa al turismo di massa. L’affitto sarà anche breve ma la lista di lacune normative e disagi causati dal fenomeno si avvia, almeno all’attuale, ad essere sempre più lunga.

 

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