Nell’ottica di un turismo sempre più proiettato verso la tecnologia, caratterizzato da un’incessante fluire di nuovi strumenti per migliorare la creazione dell’offerta e la fruizione finale della meta-prodotto, i concetti di realtà aumentata e realtà virtuale meritano particolare attenzione e approfondimento.

Si tratta di modalità di approccio alla destinazione collocate spesso al limite tra il meraviglioso e il miracoloso, capaci di coinvolgere luoghi, persone e oggetti in un ampliamento del reale e che sembrano uscite direttamente da una puntata de I Pronipoti. In realtà, i due concetti esistono da decenni e sono stati frutto di studi e miglioramenti continui. Solo di recente, però, le luci della ribalta le hanno portate sul palco e illuminate, complice anche l’avanzare dell’Intelligenza Artificiale (parola fin tropo abusata e mitizzata) e dal cambiamento dei bisogni del turista.

Per farsi largo tra la giungla di nozioni propinate dalla rete, arricchita dai consigli di chi sembra portarsi Chat GPT pure sotto le lenzuola, la redazione de Il Tourista ha intervistato il Prof. Osvaldo Gervasi, Vice Direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università degli Studi di Perugia e Damiano Perri, Ricercatore in tema di GPGPU Computing, ambienti paralleli e distribuiti, realtà virtuale e aumentata, intelligenza artificiale e reti neurali.

 

La realtà virtuale e realtà aumentata sono la stessa cosa o c’è differenza?

“La realtà virtuale è un mondo completamente sintetico – esordisce il Prof. Gervasi – quindi viene programmata dai programmatori per poi essere oggetto di rendering (ossia l’elaborazione computerizzata di immagini digitali che riproducono un soggetto in modo prevalentemente realistico) attraverso software che oramai hanno raggiunto livelli di potenza e realismo impressionanti. La realtà aumentata invece è una visione del mondo reale a cui, attraverso smartphone o visori, si sovrappongono contenuti digitali la cui origine è spesso riconducibile alla realtà virtuale”. Traslando nel pratico e unendo i due concetti: immaginiamo di essere a Roma, davanti al Colosseo, e di poter vedere non solo l’imponente monumento capitolino ma anche, attraverso una ricostruzione digitale programmata, renderizzata e resa disponibile sui nostri dispositivi, com’era all’epoca della sua costruzione. Aggiungiamo magari la possibilità di assistere, in differita di quasi due millenni, a uno degli eventi ospitati dall’Anfiteatro Flavio in cui immagini e suoni “sintetici” vanno ad ampliare quando davanti a noi. Tutto in maniera virtuale, sì, ma comunque immersiva e impressionante.

 

Possiamo dire quindi che, tra le due, quella più applicabile al turismo sia la realtà aumentata?

“In realtà al turismo possono essere applicate entrambe in maniera congiunta, perché è proprio combinando le due tecnologie che si raggiunge il massimo della potenza”.

“Per esempio, attraverso la realtà aumentata possono essere mostrati contenuti informativi sovrapposti alla vista che si ha inquadrando un monumento con lo smartphone – interviene Damiano Perri – mentre con quella virtuale si ha la possibilità di realizzare contenuti fruibili anche nel web, come una vista 3D esplorabile di un determinato punto di interesse”.

 

Quali possono essere i vantaggi dell’utilizzo di queste tecnologie, sia dal lato del visitatore/turista che da quello dell’esercente/ente locale?

“Chi possiede o gestisce un’ attività turistica, può veicolare sui social e su internet un’immagine maggiormente fruibile a attraente di quello che propone – risponde Gervasi – che sia quindi capace di invogliare maggiormente lo spettatore a scoprire il luogo reale”. E personalmente aggiungerei: anche a visitare un’attività o a soggiornare in una struttura.

“Per quanto riguarda il turista – aggiunge – chi si sposta o viaggia, spesso sa molto bene cosa cerca e cosa vuole già prima di partire (questo per dire che probabilmente si potrebbe provare a intercettare e canalizzare la loro attenzione nel momento della scelta della meta, ndr). I contenuti creano una sorta di assaggio, anche se il momento cruciale è proprio quello in cui viene vissuta l’esperienza: i luoghi, gli oggetti e i punti di interesse si arricchiscono e si abbelliscono durante la fruizione in presenza, diventando tra l’altro di più immediata comprensione e fruizione”

Ed è proprio parlando proprio del momento in cui il visitatore vive l’esperienza che il Prof. Gervasi instilla un (lecito) dubbio: immaginando di essere all’interno di un museo e di dover tutte le volte cercare il numero accanto all’opera per poi digitarlo su una (obsoleta?) apparecchiatura in stile audio guida, quanto sarebbe più facile inquadrare con il proprio smartphone ciò che si ha davanti per poi far partire in automatico una descrizione che contestualizzi e faccia vivere al meglio il quadro o la statua?

 

Non c’è il rischio di anticipare troppo e di rovinare la sorpresa che si prova quando ci si trova di fronte a qualcosa per la prima volta?

La risposta del Prof. Gervasi suona genuina e ci strappa un sorriso: “Questo, mi permetta, è come confrontare l’amore reale con quello in chat. Quando l’opera o il luogo si vivono sul momento, il senso di immersione è completo e sicuramente non confrontabile con quello generato dalla realtà aumentata. In molti hanno questa paura ma basta confrontare l’esperienza fisica e tangibile con quella virtuale per fugare ogni dubbio. Per come la vedo io e come ho già avuto modo di spiegare, l’uso della realtà virtuale e aumentata rappresenta la strada che permette di ottenere il massimo beneficio col minimo di costi, ottimizzando quello che può essere il processo di scelta della meta”.

 

Quindi, a suo avviso, il problema non si pone?

“Il viaggiatore vuole comunque sperimentare, vedere una destinazione vicino, passeggiare per i vicoli e, soprattutto, incontrare persone. Quindi no, il problema non si pone e, anzi, vi sono vantaggi anche sul livello di consapevolezza del turista/visitatore/curioso che, rendendosi parte attiva del processo decisionale, è più propenso a visitare località limitrofe o comunque collegate alla destinazione principale.
Il virtuale serve ad arricchire l’esperienza reale, non a sostituirla, e gioca un ruolo fondamentale nel convincere le persone a viverla, permettendo di pregustarne un assaggio prima. Usando una metafora: è proprio come mettere un catalizzatore in una reazione. Nel momento in cui poi il virtuale incontra il reale e, in questo caso, la destinazione o l’opera vengono contestualizzate nel territorio, ci si trova a vivere emozioni ancora più profonde e sensazioni ancora più forti di quello a cui ci si era preparati”.

 

Cosa deve fare l’utente finale, in questo caso il turista, per fruire dei contenuti di realtà aumentare e realtà virtuale proposti da una destinazione o da una struttura?

“Chi produce l’esperienza virtuale deve essere così abile, bravo e professionale da prevedere diverse possibilità di fruizione, anche in ottica di inclusione digitale. Certo è che, per esempio, chi avrà un visore accederà a un tipo di esperienza immersiva difficilmente replicabile sul monitor di un computer. Quando si parla di User Experience, si intende proprio questo: quante più possibilità di sviluppo e adattamento si prevedono per il prodotto finale, tanto più ci si rende accessibili a un numero di utenti maggiore”.

“La realtà virtuale richiede un minimo di potenza computazionale per essere renderizzata – interviene Damiano Perri – e per questo è opportuno delineare alcuni importanti dettagli in fase di progettazione. Esempi possono essere la complessità poligonale di quello che si va a rappresentare, oppure la resa grafica che si vuole ottenere. Se da una parte l’utilizzo di hardware economici fa perdere qualche punto all’esperienza in termini di coinvolgimento, dall’altra si dà la possibilità a un più ampio numero di utenti di accedervi”. Sempre Damiano Perri ci spiega che gli addetti ai lavori devono far fronte a tutta una serie di problematiche che potrebbero sorgere dal lato dell’utente finale, uno su tutti: il digital divide (definito come il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso, in modo parziale o totale). Ma la risposta arriva pronta e decisa: “in questo caso i contenuti dovranno essere tarati e declinati correttamente. Si potrebbe pensare a un ambiente web, magari, capace di girare bene o male su qualsiasi dispositivo. Oppure un’app con possibilità di download in locale così da permettere l’accesso all’esperienza virtuale anche con problemi, se non in assenza, di connessione.”. Insomma, a farla breve, basta pianificare e mettere sul piatto tutte le possibilità e le ipotesi che poi una strada percorribile, che sia una soluzione o un adattamento, comunque si trova.

 

L’applicazione della realtà aumentata o virtuale turismo potrebbe portare all’avvento di nuove professioni? Magari una sorta di architetto del virtuale…

Prima di rispondere a questa domanda, il prof. Gervasi tiene a chiarire un aspetto fondamentale: “Uno dei software più usato in questo settore è Blender, un open-source con una community alle spalle formata, prevalentemente, proprio da architetti. Non è un caso che gli allestimenti di interni che si vedono ultimamente sia sulla carta stampata che sul web siano ricostruzioni della realtà così tanto fedeli da sembrare fotografie. Quindi le professioni a cui fa riferimento la domanda si può dire che già esistono”. Quanto all’intelligenza artificiale che prende ogni giorno sempre più piede, Gervasi precisa che: “molte posizioni lavorative si perderanno in favore di algoritmi capaci di riprodurre, costruire e programmare in serie e in tempi brevi. Attenzione però, perché nella creazione in serie il fattore creatività (ovvero sia, uno degli apporti della mente umana al lavoro o progetto, ndr) non esiste. Il lavoro dei nostri laureati continuerà in tal senso a essere indispensabile anche se non credo che si potrà fare a meno dell’uso della tecnologia”.

 

Torna quindi il tema della ricerca di qualcosa di straordinario, non in senso di “stupefacente” quanto più di “diverso dall’ordinario”…

Oggi più che mai, è la ricerca il particolare, del “fatto a mano” o in maniera artigianale a muovere il mercato. Dato che abbiamo introdotto l’argomento, resta il fatto che l’Intelligenza Artificiale aiuterà e faciliterà molto, non possiamo far finta di nulla. Tutto questo, però, a patto che le tecnologie e gli strumenti basati su algoritmi siano dominati e indirizzati da una parte umana. E, per concludere, è necessario sempre e comunque vigilare sul prodotto per evitare di cadere nella massificazione.”

 

Immagine in evidenza di Racool_studio

 

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