E se l’overtourism fosse ‘solo’ turismo sbilanciato? Riflessioni sulla promozione e gestione di una destinazione turistica
Il termine "overtourism" rischia di semplificare un tema complesso senza offrire una vera soluzione, ne abbiamo parlato con Ruben Santopietro confrontandoci anche sul tema della promozione e gestione di una destinazione turistica
(F.B.) Parlare di overtourism è un errore: si rischia di semplificare troppo un tema complesso, senza offrire una vera soluzione. Questa è l’idea di Ruben Santopietro, CEO e fondatore di Visit Italy la principale piattaforma indipendente che promuove l’Italia nel mondo, secondo il quale la definizione più adatta potrebbe essere “unbalanced tourism”, ovvero turismo sbilanciato.
Imprenditore ed esperto in marketing territoriale, Santopietro è a capo della media company che racconta l’eccellenza del paese, informando i viaggiatori sui migliori luoghi ed esperienze da non perdere. La sua community online conta oltre 3,2 milioni di viaggiatori e lavora per supportare destinazioni e aziende nella pianificazione di campagne di marketing del territorio ad alto valore e basso impatto. Lo abbiamo raggiunto per qualche domanda sul fenomeno, cogliendo l’occasione per aprire un confronto sul tema della promozione e gestione di una destinazione turistica.
“Parlare di overtourism significa guardare solo alla superficie del problema, senza affrontarne le cause profonde – esordisce Santopietro – questa parola suggerisce che il problema sia esclusivamente il ‘troppo turismo’, quando in realtà il vero nodo è la distribuzione ineguale dei flussi turistici. Per questo preferisco parlare di unbalanced tourism, turismo sbilanciato: in Italia il 70% dei visitatori stranieri si concentra sull’1% del territorio”.
L’importanza della distribuzione dei flussi turistici
Durante l’intervista abbiamo avuto modo di parlare anche di soluzioni pratiche: “questo non significa che ci siano “troppi turisti” in generale – continua – ma che alcuni luoghi ne attraggano in eccesso mentre altri – pur avendo un enorme potenziale – restano esclusi dai circuiti turistici. La soluzione non è fermare il turismo, ma ridistribuirlo in modo più armonico, attraverso strategie mirate di promozione territoriale, investimenti in infrastrutture e incentivi per far conoscere mete meno battute”.
Come secondo lei si promuove correttamente una destinazione turistica? Secondo quanto ci insegna, una destinazione viene raccontata con le stesse logiche con cui si lavora un brand. Perche questo è sbagliato secondo lei? Come si dà forma all’identità di un luogo e si costruisce un legame autentico con chi lo sceglie?
A questa domanda, Santopietro risponde che il problema principale è nell’approccio: molte destinazioni cercano infatti di promuoversi come fossero prodotti di consumo, applicando strategie di branding troppo rigide e artificiali. “Un luogo non è un prodotto: è un ecosistema fatto di persone, cultura, storia, identità, e non può essere ridotto a uno slogan o a una cartolina perfetta. L’errore più grande è cercare di comunicare tutto per tutti, senza una vera identità”.

Gli aspetti peculiari al centro del campo
“Ogni destinazione ha qualcosa di unico, ma non sempre viene messo a fuoco – ci spiega ancora Ruben Santopietro – la chiave sta nel costruire un racconto autentico, radicato nella realtà del territorio e capace di creare un legame emotivo e culturale con il viaggiatore. Questo significa ascoltare la comunità locale, valorizzare le tradizioni senza trasformarle in spettacoli per turisti, e utilizzare strumenti di comunicazione che parlino alle persone giuste, nel modo giusto.”.
Raccontare per lei è diverso da descrivere? Se sì, in che modo? Verrebbe da pensare che il racconto ha qualcosa di artefatto, qualcosa che potrebbe fuorviare il turista intrigandolo nel processo di scelta e lasciandolo a bocca asciutta quando poi visita la destinazione.
Raccontare e descrivere sono due cose molto diverse.
La domanda, un po’ provocatoria, ci sorge spontanea, pensando alla differenza non spesso compresa appieno tra informazione e intrattenimento. Santopietro ci sta e risponde: “descrivere significa elencare fatti, caratteristiche e informazioni oggettive, mentre raccontare, significa dare un senso a quei fatti, inserirli in un contesto, suscitare emozioni. Un buon racconto non è mai artefatto, anzi: deve essere profondamente vero, ma raccontato nel modo giusto.”
E sul rischio di fuorviare il turista precisa: “esiste solo se si costruisce una narrazione fittizia, promettendo esperienze che non esistono. Se invece il racconto è autentico, aiuta il viaggiatore a capire non solo cosa troverà in una destinazione, ma anche come potrà viverla e che emozioni potrà provare”.
La sfida del giusto equilibrio
“L’errore di molte destinazioni è pensare che basti descriversi per essere attrattive – chiarisce Santopietro – in realtà, il turismo è fatto di esperienze e di aspettative: se non si racconta in modo coinvolgente, si resta invisibili. Se invece si racconta senza verità, si crea solo delusione. La sfida è trovare il giusto equilibrio”.
In certe destinazioni sembra che hotel, ristoranti, alloggi per affitti brevi, negozi e chi più ne ha più ne metta facciano a gara per chi comunica peggio, o meglio: per chi comunica in maniera più “turistica”. Ma gli esercenti non si accorgono che stanno, magari, sbagliando approccio?
“Questo è un problema reale: molte strutture e attività comunicano ancora in maniera superficiale, standardizzata, senza autenticità. Il risultato è che si finisce per proporre esperienze turistiche omologate, tutte uguali, spesso più pensate per apparire bene sui social che per essere realmente vissute”.
“Il cliente finale, inizialmente, può anche cascarci – aggiunge – ma il problema emerge nel lungo periodo: il turismo basato sulle false promesse non regge, perché genera delusione e recensioni negative, rovinando la reputazione della destinazione”.
A proposito degli operatori, Santopietro mette in luce come il problema sia “la mancanza di una formazione mirata, che aiuti gli operatori a raccontare la propria offerta in modo autentico e credibile, senza cedere alla tentazione di vendere esperienze standardizzate solo perché ‘funzionano’ sui social. Spesso gli esercenti consapevoli del problema, ma non sanno come migliorare la propria comunicazione“.

L’ultima domanda è sulla statistica di cui abbiamo parlato all’inizio: perché il 70% dei visitatori stranieri si concentra solo sull’1% del territorio italiano? Quali sono i risvolti che numeri del genere portano sul piano pratico?
Santopietro ci risponde che questo fenomeno accade per diversi motivi:
- Le abitudini consolidate del turismo internazionale, che spingono i visitatori verso le mete più conosciute come Roma, Firenze e Venezia.
- Il peso delle piattaforme digitali, che favoriscono le destinazioni già affermate con un effetto “vetrina” che penalizza i luoghi meno noti.
- La mancanza di investimenti in promozione e infrastrutture, che rende più difficile per le destinazioni emergenti attrarre visitatori stranieri.
E aggiunge: “le conseguenze di questa concentrazione sono evidenti: sovraffollamento, pressione insostenibile sulle città d’arte e opportunità economiche perse per i territori meno frequentati. Inoltre, l’esperienza di viaggio ne risente: un turista che visita un luogo troppo affollato lo percepisce in modo meno autentico e spesso non è incentivato a tornare”.
“La soluzione passa attraverso una promozione territoriale più intelligente e mirata – conclude Ruben Santopietro – che non si limiti quindi a raccontare le mete già note, ma che costruisca nuovi punti di interesse, valorizzando borghi e aree meno turistiche. Con Visit Italy lavoriamo esattamente su questo: creare visibilità per destinazioni che oggi non sono ancora sulla mappa del turismo internazionale, ma che hanno tutte le potenzialità per esserlo”.
Immagine in evidenza di Jacek Dylag su Unsplash
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