100% di occupazione in struttura, siamo sicuri di volerlo veramente?
Una percentuale di occupazione troppo alta potrebbe celare una strategia di vendita imprecisa o addirittura errata
(Federico Baglioni) Una struttura piena, ogni giorno, ogni notte. Potremmo definirlo “il sogno nel cassetto di ogni albergatore o gestore” Vedere il proprio calendario pieno di prenotazioni, magari senza alcun gap tra una e l’altra può dare l’idea di aver finalmente raggiunto l’obiettivo numero uno di chi ogni giorno si impegna dietro il bancone di una reception: il 100% dell’occupazione. E se le cose stessero diversamente?
L’approfondimento di oggi parte da qui. In effetti, può sembrare assurdo, eppure è così: il 100% di occupazione potrebbe non sempre essere un obiettivo da dover raggiungere.
Pensiamo anche solo per un attimo al momento di vendita attuale in cui la maggior parte delle prenotazioni arriva in last minute. Se abbiamo fatto bene i conti, dovremmo avere di conseguenza ancora qualche camera libera per le richieste a ridosso della data di arrivo. Se invece abbiamo già occupato il 100% dei nostri alloggi, molto probabilmente non siamo stati attenti alle esigenze del mercato, commettendo qualche errore sulle tempistiche o sul calcolo del prezzo di vendita degli alloggi, incoraggiando così l’ospite a prenotare un soggiorno troppo conveniente.
Come seconda cosa, pensiamo bene alle regole di revenue, secondo le quali la percentuale di occupazione andrebbe spesso utilizzata a mo’ di cartina tornasole. Un valore alto potrebbe celare una strategia di vendita imprecisa o addirittura errata. Non dimentichiamoci che riuscire ad arrivare al proprio obiettivo di vendita senza una percentuale piena riduce inoltre, sempre in ottica di revenue, i costi e le operazioni di gestione.
A questo punto viene spontaneo chiedersi: cosa e come fare allora?
Da una riflessione personale, la mia conclusione è che una soluzione ci potrebbe essere: cambiare obiettivo. Subito. Niente più occupazione al 100% ma un costante lavoro di ricerca, analisi e modifica dei prezzi. Prendiamo l’esempio di una struttura che ha appena aperto i battenti e che offre un prezzo iniziale basto sul benchmarking (alias, il confronto con altre strutture). In un anno, ipoteticamente vendendo le camere a una tariffa n, raggiungerà un tasso di occupazione del 100% e un fatturato complessivo di x.
Il secondo anno, con uno storico accurato e dati alla mano, la stessa struttura potrà aumentare di qualche punto il prezzo n, raggiungendo un tasso di occupazione minore (per esempio, 90%) e comunque sempre un fatturato complessivo di x. Il tasso di occupazione restante (in questo caso il 10%) sarà il vero terreno di lavoro su cui poter costruire una marginalità, potendo salire e scendere liberamente con i prezzi e generando in ogni caso un guadagno che si aggiunge al fatturato x.
Il terzo anno, sempre grazie a uno storico accurato e dati alla mano, la struttura in questione potrà aumentare ancora di più il prezzo della stanza generando un tasso di occupazione ancora minore (esempio: 60%) con il vantaggio di avere ancora più spazio (ad esempio 40%) per poter produrre marginalità maggiore oltre al solito fatturato che rimane sempre x.
In tre anni, la struttura riuscirà così a massimizzare i propri guadagni diminuendo, incredibile a dirsi ma vero, il tasso di occupazione e di conseguenza la forza lavoro, i costi e le operazioni di gestione. Volendo riassumere, giusto in due parole: se la struttura basasse la propria strategia di vendita sul prezzo piuttosto che sull’occupazione, otterrebbe molti più vantaggi con molte meno spese e soprattutto meno dispendio di energie. Altrimenti si rischia di abbracciare la logica: “Struttura piena, portafoglio…un po’ meno”.
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